Dmitry Kupets, Import/Export

Import/Export è il ritratto della vita dell’artista come mercante. Gli oggetti usati nei lavori sono ordinari beni di consumo che l’artista vende regolarmente. Ecco l’esempio delle zampe di gallina che Kupets imbarca per la Cina dove “L’artiglio della Fenice” è considerato una delizia. In Occidente le zampe di gallina sono inutili (nel 2008 gli Stati Uniti hanno venuto ben 677 milioni di dollari di gallina alla Cina). Graffiano lo sporco e scivolano sui pavimenti di gabbie affollate. Questo, però, non importa al mercante. C’è chi guadagna e c’è chi perde. Così va la storia del commercio: storia della modernità.

In questa vasta impresa spaziale la figura del mercante sfuma perché è il bene di consumo a diventare il simbolo del commercio. Kupets sfida così questo aforisma con un suo autoritratto minando il ruolo dell’oggetto mercificato. Gli oggetti in mostra, benché rappresentazioni degli stessi beni di commercio, sono certamente artificiali. Attraverso addotte pennellate e tecniche di costruzione fai da te, lo sforzo artistico prevale sulla realizzazione degli stessi oggetti. In questo modo Kupets si ritrae come una specie di artista e rifiuta la tradizione letteraria di rappresentare i mercanti come rispettabili buonuomini dalla dolce parlata.

La rappresentazione del mercante Kupets si inserisce come precaria costruzione di miscellanei valori culturali, facendo ironia della stessa identità della società capitalistica. Tutto questo viene poi rinforzato dalla pittura che chiude gli scatoloni, dall’uso di una gabbia e dalle pile di latte di birra. Il mercante non dovrebbe essere più immaginato come immorale finché sarà generato dalla macchina capitalista che trova casa proprio negli spazi culturali. L’esibizione dell’inganno mostra che deve essere condiviso piuttosto che posseduto.

La precarietà di ogni costruzione non riflette solo l’abilità di Kupets di attirare l’attenzione delle autorità ma anche la caducità del consumo. Tale aspetto è anche ribadito dalla rappresentazione alienata di oggetti pop. Nella realtà questi prodotti vengono allocati e consumati, mentre le loro rappresentazioni sono e restano inutili. I lavori ironicamente ineriscono ad un capovolgimento di ruoli per cui il mercante guadagna il suo posto alto sul destrier in groppa e fa la morale sull’atto consumistico e su ciò che invece veramente conta. Facendo questo il mercante si ritaglia un nuovo spazio, il vuoto fra il reale e l’artificiale, il senso e il non-senso.

Tutti i paradossi lasciano una traccia della loro inconsistenza e Kupets fa ciò nel lavoro Cella Staminale (Stem Cell), dove l’artista mette a tema il suo sforzo di mediatore fra il paradiso elitario della ricerca staminale e il crescente fabbisogno sul mercato di carne fresca da laboratorio. Così il capitalismo, contraddicendosi, svela la sua realizzazione, e il mercante deve trovare forme altre di interfacciamento. Ma lui, sapeva vendere bene le sue bibbie.